In questi giorni di quarantena le riflessioni si fanno tendono a non essere focalizzate solo sull’operatività e capita quindi di potersi fermare a riflettere meglio e più a lungo su quanto si vive, su ciò che è il lavoro e sui libri che si leggono.
Per formazione sono un amante di volumi pesanti e di manuali che probabilmente in pochi abbiamo voglia di leggere. A volte è duro approcciarsi a libri del genere perché la vita di tutti i giorni non ci permette una lettura e una riflessione costanti rendendo di fatto la lettura più un’epopea (e un esercizio per la memoria!) che un piacere.
Ultimamente però, e ciò anche grazie all’acquisto del Kindle (non lo dico a caso). ho avuto modo di leggere La reputazione ai tempi dell’Infosfera di Daniele Chieffi e in questo caso non ho affatto sofferto questo effetto-epopea della quotidianità. Il libro è infatti scritto benissimo e mi ha tenuto bene incollato al Kindle per un po’ di tempo.
Come ho già scritto, il libro mi è piaciuto, anche perché mi ha portato a riflettere sulla questione reputazione. Seguendo Chieffi essa è
La reputazione è quindi l’insieme di credenze, valutazioni e percezioni che un contesto sociale formula a proposito di un individuo, un’azienda, un’istituzione. Presuppone un ambiente in cui il giudizio viene elaborato, comunicato, modificato. Si forma nelle conversazioni e nelle interazioni, emerge dal network di relazioni in cui il l’individuo, l’azienda, l’istituzione sono inseriti, dunque per natura è condivisa. Viene tessuta ogni giorno: da un lato con le intenzioni e i comportamenti personali, le interazioni, dall’altro con le interpretazioni che si generano nella comunità. In questa prospettiva, la reputazione raccoglie la storia del soggetto e come storia può essere narrata.
Proprio questa citazione mi ha spinto a fare delle riflessioni sul rapporto tra reputazione e brand.